Ricordo di sabato 23 novembre 2024, MIlano. È cominciato il freddo, proprio in questa settimana che tra Linecheck e Milano Music Week ti tratta come la pallina di un flipper in un bar anni 60 della pianura padana, in balia di flash, rimbalzi e fredda condensa umidiccia.
Mi ritrovo invitata ai Siae Music Awards 2024, seconda edizione di questa nuova serata a premi, il cui intento è quello di celebrare gli autori e gli editori italiani di maggior successo nel nostro Paese e all’estero, con nomination che si basano sulle rilevazioni dei consumi di musica certificati da SIAE e delle royalties distribuite e pagate nel 2024.
Puri dati, emozione poca in effetti.
Mi sento più imbucata che invitata, anche se l’invito è reale (nel senso di non richiesto) e io sono pure un’iscritta SIAE, una delle poche, considerando che le iscritte SIAE, Società Italiana Autori ed Editori, sono circa il 16% del totale.
Dico “circa” perché la SIAE non pubblica ancora dati certi in questo senso.
Mi sono voluta sollazzare con una veloce ricerca online e Google, che pensa bene di eliminare il termine “donna” per trovarmi qualche risultato, ha un involontario senso dell’umorismo più amaro e tagliente di quanto desiderassi.
Pure lui ce lo dice esplicitamente, se ci dovessero mai essere dubbi. Mancanti: donne.
Il maschile plurale di “Autori ed Editori” che completa la parte del nome “SIAE – Società italiana degli” non è chiaramente usato in senso sovraesteso ma praticamente letterale.
Sento l’ardire di interrogare anche il bot del sito SIAE, a cui è stato dato il nome femminile per eccellenza, quello da cui sono poi derivati tutti i mali dell’uman… insomma, si chiama Eva.
Anche Eva appare impreparata alla mia domanda e mi dice:
Posto che l’assistenza virtuale che mi rimanda all’assistenza umana è un chiaro esempio di Paradosso del Gatto Imburrato, sappiamo che SIAE in realtà richiede di indicare il sesso a chi si iscrive (almeno tramite app), ma evidentemente non usa questo dato per pubblicare ricerche statistiche.
Ricordiamo che la mancanza dell’indicazione del genere all’interno dei metadata dei file dei brani che circolano sulle piattaforme è un tema di cui si sta discutendo ultimamente, perchè di fatto impedisce eventuali operazioni virtuose da parte dei DSP che suggeriscono playlist algoritmiche. Nello specifico, segnaliamo il Music Gender Metadata Manifesto nato dal lavoro di Digital Fems, realtà internazionale che si batte proprio perché l’indicazione del genere di chi canta, suona, compone e produce entri a far parte dei metadati obbligatori.
Ma torniamo agli Awards.
Tra un misto di senso del dovere e curiosità, scorro il programma della serata, le nomination e comincio a contare.
Appaiono i primi nomi (illustri): Amadeus, M° Valeriano Chiaravalle, Carlo Cracco. Salvatore Nastasi.
Ok.
Concentrandomi su compositori e autori (non editori), scandaglio tutte le persone “nominate” in modalità pesca a strascico e mi concentro su un masochistico esercizio stile enigmistica alla “trova l’intrusa”. Prendo un bel respiro e:
(ndr, trovate più volte gli stessi nomi ripetuti perché alcune persone hanno ricevuto più nomination)
Per maggiore chiarezza utilizzerò l’azzeccatissima soluzione grafica usata da Lineup Without Males.
Questo lo stesso elenco di persone nominate, cancellando artificialmente i nomi di autori e compositori:
Questo quello dei vincitori, anche qui senza autori/compositori:
La questione è letteralmente evidente. Le autrici/compositrici nominate e/o premiate sono pochissime. Niente di nuovo.
È interessante anche notare che delle vincitrici, solo Gala è effettivamente un’autrice italiana; nessuna delle tre è iscritta in SIAE, ma rispettivamente in PRS (Gala), e BMI (Kamille e Bebe Rexha).
RICAPITOLANDO
Su 182 nomination abbiamo:
- 15 compositrici e autrici (8,2% del totale)
- 167 compositori e autori (91,8% del totale)
Su 44 vincitori abbiamo:
- 3 compositrici e autrici, nessuna presente alla serata e quindi salita sul palco (6,8% del totale)
- 41 compositori e autori (93,2% del totale)
Questa così bassa percentuale di autrici e compositrici sia nelle nomination che, come dicevamo, nel totale delle persone iscritte in SIAE, porta come conseguenza naturale non solo la loro poca visibilità al pubblico, ma anche la diversissima distribuzione di risorse economiche raccolte da SIAE.
Chiariamo, non è responsabilità diretta di SIAE se i brani (e quindi gli autori) più remunerati sono uomini, ma anche SIAE ha bisogno di intraprendere azioni serie e a lungo termine in questo senso, per cercare di ridurre tutti gli squilibri endemici, diretti o indiretti a sfavore di autrici e compositrici. Questo atteggiamento di ignavia rispetto all’argomento da parte di chi davvero avrebbe il privilegio e il potere di cambiare le cose, è di fatto una posizione reazionaria di chi non si sente addosso la responsabilità di farlo.
E non raccontiamoci più che gli uomini costituiscono la maggior parte di chi guadagna di più e di chi ha più successo perché sono più bravi (in base alle nomination di questi Award ad esempio, il 91,8%).
Abbiamo già spiegato più volte, e per fortuna non solo noi, che non è per questo motivo che in quasi tutti i settori di business gli uomini ricoprono praticamente tutte le posizioni di potere.
Il motivo è la cultura patriarcale in cui nasciamo e viviamo (sì, il patriarcato ancora esiste), e una serie infinita di privilegi destinati agli uomini e a loro soltanto.
Abbiamo bisogno di agire su questo tipo di cultura più velocemente di quanto non si stia facendo, anche dalla parte della musica.
Per dare più potere economico alle donne che compongono e scrivono (e quindi renderle padrone della propria carriera e della propria arte, dare loro la possibilità, ad esempio, di difendere il proprio apporto creativo all’interno di un brano, chiamato anche “punti autorali”), si deve partire dal cambiare la concezione che si ha delle stesse.
È giusto considerarle delle partner creative, magari geniali, e non solo degli elementi di disturbo, di distrazione, di convenienza o di colore nello spogliatoio del calcetto in cui spesso si trasformano gli studi di registrazione.
So bene che “alla creatività non si comanda”, non sto suggerendo di istituire quote di genere negli studi di registrazione. Sono convinta però che quello che la maggior parte degli artisti vede come un processo naturale (lavoro con le persone con cui mi trovo meglio), sia anch’esso purtroppo lo specchio di migliaia di pregiudizi e di stereotipi che tutti e tutte noi abbiamo nei confronti delle donne, soprattutto delle donne nelle arti.
Non c’è niente di naturale (o di logico) a pensare che una donna sia meno brava di un uomo “di default” a suonare, cantare, comporre, dirigere.
Eppure questo è quello che ci raccontano moltissime donne della musica, ovvero che:
- “Preferirei parlare con [nome di uomo] per le questioni tecniche”
- “Lavora con te solo perché vuole scop**ti”
- “Pensavo ti facesse piacere essere abbracciata e toccata da me. Dovrebbero lavorare più uomini in questo posto, che palle il genere femminile”
- “Devi rendere la nostra amicizia più frizzante se vuoi che faccia qualcosa per te”
- “Le donne non hanno fantasia artistica. Si limitano solo ad emulare quello che è già stato creato da musicisti uomini”
- “Molto belle le demo, le hai fatte tutte da sola?”
- “Ti ascoltano solo perchè sei una bella ragazza”
- “Lei ha il problema dei figli”
- “Sei donna, quindi non sei allo stesso livello di un maschio che suona lo stesso strumento”
Potremmo andare avanti per pagine e pagine, ma se volete leggere tutto il report di Equaly “VIOLENZA E MOLESTIE CONTRO LE LAVORATRICI DELLA MUSICA” da cui sono state prese queste frasi riportate da chi ha compilato il questionario, potete farlo QUI.
Che dire, SIAE, DALLA PARTE DI CHI CREA DEGLI UOMINI CHE CREANO?