Se fosse una partita di calcio, il risultato sarebbe schiacciante: Cultura italiana 3 – Parità di genere (quasi) 0. Ma andiamo con ordine.

Gennaio 2023, sono uscite da pochissimo le classifiche annuali di vendita FIMI per il 2022, sia album e compilation che singoli.

Abbiamo analizzato la classifica degli album più venduti del 2022 sotto un’ottica di parità di genere, per vedere se la presenza in classifica delle artiste è diminuita, aumentata o se è rimasta invariata rispetto ai risultati che avevamo già riscontrato negli anni precedenti. Per fare le cose come si deve, oltre al 2022 abbiamo preso in esame i 10 anni dal 2012 al 2021.

(Nota: non sono state oggetto di quest’analisi le posizioni ricoperte da compilation).

Per il 2022 il numero che cercate è questo: 10%.

Le artiste in classifica FIMI 2022 degli album più venduti rappresentano il 10% circa del totale, un valore che si commenta da solo. Ma qual è la tendenza generale? Stiamo andando meglio? Stiamo andando peggio? Cerchiamo di scoprirlo.

IL PREGRESSO: 2012-2021

In un altro articolo abbiamo già citato queste percentuali: 

  • nel 2018 la presenza di artiste in classifica era del 14%
  • nel 2019 si assestava sempre sul 14%
  • nel 2020 scendeva a 11,34%
  • nel 2021 arrivava all’11,22%

Questa volta abbiamo deciso di andare oltre e di spingerci con l’analisi dei dati fino al lontano 2012, un anno prima dell’arrivo di Spotify in Italia, per intenderci.

Ecco cosa abbiamo trovato:

La tendenza è chiara ed evidenzia la progressiva riduzione della percentuale di artiste presenti in classifica passando dal 27% del 2012 al 10% del 2022 con un salto verso il basso di 17 punti percentuale.

Combinando questi dati con quelli relativi agli artisti vediamo bene le due tendenze opposte comparate. 

Gli artisti rappresentavano il 73% del totale nel 2012 e sono arrivati a ricoprire l’89% delle posizioni nel 2022; un salto in avanti di circa 16 punti percentuale. Tutto torna.

L’ANALISI DEI RISULTATI 2022

Come abbiamo visto, il 2022 non si discosta dal trend negativo degli anni precedenti: la presenza femminile in classifica non arresta la sua decrescita arrivando a toccare il 10%, se si prendono in considerazioni artiste italiane ed internazionali.

Le artiste internazionali con le loro posizioni sono: 

#55 Dua Lipa, #56 Taylor Swift, #59 Adele, #82 Olivia Rodrigo, #86 Rosalia

Le sole artiste italiane rappresentano invece il 5,15%. L’elenco dei nomi è presto fatto:

  • #33: ELISA con “Ritorno al futuro / Back to the future” (Island – Universal Music)
  • #39: MADAME con “Madame” (Sugar Music)
  • #45: ARIETE con “Specchio” (Bomba Dischi)
  • #76: ANNA con “Lista 47” (Virgin – Universal)
  • #96: LRDL con “My Mamma” (Woodworm / RCA NUMERO 1 – Sony Music)

Al contrario dei 10 anni precedenti dove si potevano trovare presenze femminili dalla 1a alla 15esima posizione (alla peggio), nella classifica 2022 non troviamo nessun’artista nei primi 32 posti.

Dobbiamo arrivare al n.33 per trovare Elisa che, al contrario delle classifiche degli ultimi 10 anni, è l’unica tra le italiane presenti ad avere una lunga carriera partita nel 1997 con 11 album alle spalle (rispetto agli anni passati le grandi assenti sono Alessandra Amoroso, Emma, Laura Pausini, Giorgia, Fiorella Mannoia, Gianna Nannini, ad esempio).

Procedendo con la 2022,  dopo Elisa alla n.33 si passa per Madame alla n.39, Ariete alla n.45, alla n.76 di Anna e, per finire, alla n.96 di LRDL; ma andiamo avanti.

ARTISTE/I ITALIANE/I

Parliamo ora di repertorio internazionale e italiano.

Notiamo anche che se le artiste italiane rappresentano il 50% del totale delle presenze femminili, gli artisti italiani sono più dell’86% della totalità del loro genere.

Questo è sicuramente un dato positivo preso nella sua interezza, perché vuol dire che il pubblico italiano apprezza sempre di più la produzione artistica locale e che, che sia come causa o come effetto, le etichette discografiche e gli editori italiani investono in questo tipo di proposte musicali e di repertorio in modo attivo.

A quanto pare però, investono solo su artisti con la “i”, e questo non è un segreto. Anzi, analizzando l’andamento della percentuale di artisti/artiste italiani/e negli ultimi 11 anni di classifiche album FIMI, scopriamo questo:

La tendenza è in aumento sia per le artiste che per gli artisti, ma con un delta tra i valori di partenza e quelli di arrivo molto diverso.

Se la percentuale di artiste italiane rispetto al totale delle artiste parte con un 48% del 2012 per arrivare, con qualche oscillazione, ad un 50% del 2022 (segnando quindi un +2%) gli artisti italiani passano dall’essere il 36% nel 2012 a diventare la quasi totalità nel 2022 con l’86% di presenze segnando un interessantissimo +50%

Cosa ci dice questo dato? Proviamo a fare delle ipotesi.

IPOTESI 1: l’arrivo di Spotify

Spotify sbarca in Italia nel 2013. Il fatto che la percentuale di artiste, italiane e non, stia scendendo da allora in modo lineare non può lasciare indifferenti, sia perchè i periodi sembrano coincidere, sia perchè la cosiddetta “quarta ondata femminista” ha avuto inizio indicativamente nel 2010 a cui è seguito nel 2017 il movimento #metoo (in italia #quellavoltache).

Di fatto nel decennio in cui i movimenti a tutela della disparità di genere e dell’emancipazione femminile tornano letteralmente sotto i riflettori constatiamo che la presenza di artiste in classifica ha seguito una tendenza piuttosto controintuitiva.

É possibile che il cambio della fruizione della musica dall’acquisto del supporto fisico alla subscription di servizi su piattaforme digitali abbia avuto una grande importanza nel creare un (nuovo) ostacolo all’accesso e allo sviluppo di carriere di musiciste, artiste, produttrici italiane? 

IPOTESI 2: la pandemia

Non è un segreto che gli effetti negativi della pandemia sono stati, tanto per cambiare, molto più a carico delle donne che degli uomini: lavoro (non retribuito) di cura aumentato esponenzialmente, lavori domestici moltiplicati e, cosa più importante, tanti posti di lavoro persi e mai recuperati con conseguente penalizzazione nelle nuove assunzioni.

Sembra che questa tendenza abbia intaccato anche il settore musicale; riferendoci nuovamente al primo grafico “% Presenza Artiste 2012-2022” troviamo un riscontro di questo: c’è infatti un ennesimo salto negativo tra il 2019 e il 2020 dove la percentuale di presenza di artiste in classifica scende dal 14 all’11%.

IPOTESI 3: il music business italiano preferisce gli uomini italiani?

Come dicevamo, i dati evidenziano una chiara propensione del pubblico a prediligere il repertorio italiano. Ma se, come detto, negli ultimi 11 anni la tendenza per gli artisti è in netta crescita (dicevamo + 50%), nello stesso periodo il numero di artiste italiane in classifica rimane praticamente invariato registrando un timido +2%, mentre come sappiamo il numero generale di artiste, italiane e internazionali, crolla del 17%.

Ora, se proprio nel momento in cui il focus è tornato sul mercato italiano e quindi su artisti/e italiani/e messi sotto contratto da etichette ed editori italiani si rende molto evidente la discrepanza tra le tendenze di crescita tra artisti italiani e artiste italiane, forse vuol dire che è proprio il music business italiano ad investire solo su artisti maschi.

Ma queste artiste su cui non si investe e che non finiscono in classifica, ci sono o non ci sono?

Al di là degli stereotipi di genere che guidano i nostri giudizi e le nostre scelte, c’è anche un problema di “bacino” di partenza?

Molte figure che ricoprono posizioni di A&R all’interno di etichette discografiche e società editoriali lamentano la mancanza di proposte femminili e utilizzano questa loro percezione per giustificare il fatto che, proprio loro, non mettono sotto contratto artiste, autrici e produttrici. Non ci riescono perché “non ci sono”, e sappiamo bene quante volte abbiamo sentito questa frase, dentro e fuori dal music business.

Ora, non sappiamo quanto queste persone si siano fatte o meno un esame di coscienza rispetto ai propri pregiudizi di genere (che, volenti o nolenti, esistono in ognuno/a), ma anche ammettendo questo, il dubbio sull’effettiva mancanza di proposte femminili, a prescindere dal genere musicale o dalla qualità, rimane.

In questo nostro precedente articolo abbiamo provato a fare alcune riflessioni sulle possibili cause della difficoltà per le ragazze di accesso in partenza alla musica e ad un effettivo sviluppo di un’eventuale carriera in questo campo, vi invitiamo a rileggerlo insieme alla quarta parte conclusiva.

Riassumendo alla brutta, gli ostacoli possono essere:

  • sociali, culturali, familiari (stereotipo di riferimento “la creatività e l’arte sono cose da uomini”)
  • economici (la disoccupazione femminile è sempre molto alta e per investire nella propria musica servono risorse)
  • psicologici (dati, ad esempio, dai due punti precedenti)

Autocitandoci “Insomma, ostacoli, ostacoli e ancora ostacoli alla libera espressione, fisici, emotivi, mentali. E cos’è l’arte se non la libera espressione della visione del mondo di un essere umano? Cos’è l’arte se non l’espressione di un desiderio? E come si fa a desiderare? Soprattutto, come si fa a desiderare una cosa così lontana da quello che ci si aspetta dal genere a cui apparteniamo? È l’atto di desiderare che porta al cambiamento, e per desiderare non basta la singola volontà”

Ma la questione è ancora più complessa.

Chiedersi come mai, in Italia, ci siano meno ragazze che ragazzi che si approcciano allo studio della musica in un’ottica “artistica” (non parliamo dello studio di uno strumento per finalità didattiche e formative), equivale a chiedersi come mai, in Italia, la lingua ufficiale sia l’italiano e non lo svedese. 

Di naturale (qualsiasi cosa voglia dire) nell’imparare una lingua o nel seguire i diktat destinati al tuo genere di appartenenza di nascita non c’è niente, è tutta una questione culturale.

La risposta ad entrambe le domande di cui sopra è: parli italiano (o fai l’infermiera e non la producer) perchè ti hanno insegnato questo e tu hai imparato questo e pensi che questa sia la “natura” delle cose, la “natura” del tuo genere, la “natura” del tuo sesso di nascita.

Uno dei motivi per cui i due generi attualmente riconosciuti (donne e uomini) sembrano così ben divisi in termini di tendenze, aspirazioni, occupazioni, competenze, caratteristiche personali, emotive, fisiche e psicologiche non risiede in quasi nessuna impostazione “naturale”.

Proviamo a fare qualche esempio.

L’ESPERIMENTO SOCIALE:

Alla fine degli anni ‘60, l’educatrice antirazziale, femminista e attivista LGBT+ Jane Elliott a seguito dell’assissinio di Martin Luther King il 4 luglio del 1968 decise di intraprendere un esperimento sociale in una sua classe che finì per diventare uno dei migliori esempi per spiegare i meccanismi alla base di comportamenti discriminatori e i conseguenti effetti permanenti sull’autostima dell’individuo discriminato.

Citando l’articolo scritto da Giulia Di Bello apparso su The Vision, l’esperimento chiamato Blue eyes/Brown eyes, nonostante si concentrasse inizialmente sulla discriminazione di tipo razziale, ci insegna che “le nostre prestazioni, la nostra capacità di credere in noi stessi e di risolvere problemi dipende solo in minima parte delle nostre abilità”.

In realtà tutto dipende “in larga misura dal fatto che gli altri credano o meno in noi e nel nostro potenziale, e da quanto chi ci circonda ci sproni a far meglio o al contrario ci demoralizzi. 

Jane Elliott ha dimostrato che dire a qualcuno di essere inferiore e trattarlo come tale, ha il potere di convincerlo che sia davvero così; per questo motivo chi è vittima di discriminazione o di comportamenti svalutanti, sia esso un individuo o un gruppo di persone che condividono la stessa condizione, sarà portato a convincersi di non valere nulla, a sviluppare atteggiamenti timorosi e insicuri, a sottomettersi agli altri e a non sentirsi all’altezza in ogni sfida che dovrà affrontare“.

NON SI PUÒ ESSERE LEADER DA DIETRO UN MURO

Giulia Blasi lo dice molto chiaramente in un suo TEDxVicenza di qualche anno fa il cui incipit è la citazione femminista per eccellenza attinta dal repertorio della filosofa Simone de Beauvoir: DONNE NON SI NASCE, SI DIVENTA. 

E continua col dire che essere donna “non è una condizione preesistente, non è qualcosa che sei e basta. “Donna” è un processo, con degli step, quasi tutti obbligatori” […] “Nasci e sei, chi più chi meno, femmina, e passi buona parte della tua vita ad imparare a diventare una donna. è un processo di addizione e sottrazione, per lo più di sottrazione […] bisogna imparare a togliere, essere meno: meno rumorose, meno disordinate, meno esuberanti, meno disinvolte. […] Essere donna significa anche e soprattutto imparare ad occupare meno spazio nel mondo. […] Più magre, più belle e più curate sono gli unici più che ci siano veramente concessi. La cosa che ti viene martellata nel cervello quando sei una ragazza, è che a nessuno importa cosa pensi […] Per le ragazze ci si preoccupa tantissimo […] Intorno alle ragazze si costruisce un muro solidissimo di piccole e grandi limitazioni della libertà personale perchè “là fuori è un brutto mondo”. […] Da dietro questo muro, in qualche modo, dovremmo imparare ad essere leader. E se non ci riusciamo, se lasciamo la leadership ai maschi, ci viene detto che è colpa nostra, che non ci proponiamo, che non siamo coraggiose, che non vogliamo emergere, che preferiamo restare nell’ombra […] Essere leader, essere donna, mettersi alla testa di qualcosa, di un partito, di un movimento, di un team professionale è una faccenda complessa. Ed è ancora più complessa per chi, ovunque si giri, vede solo il muro che le hanno costruito intorno. 

Non si può essere leader da dietro un muro. LEADER NON SI NASCE, LEADER SI DIVENTA. […]

Non si può fare arte da dietro un muro

Non si può far sentire la propria voce se ti hanno sempre detto di stare zitta

Non si può prendere il proprio spazio se ti hanno sempre detto di stare composta

Cioè si può, e qualche “super donna” l’ha fatto, ma è molto molto difficile.

Quanta musica ci siamo persi finora per la presenza di questo muro?

La buona notizia che è molto più facile cambiare la cultura rispetto alla natura. La cattiva notizia è che cambiare la cultura è un processo lungo e complesso, ma da qualche parte dobbiamo cominciare.

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