Assistiamo – con sguardo attento e spirito critico – ad un numero sempre crescente di iniziative da parte di aziende, associazioni ed entità di vario genere, volte a favorire l’empowerment femminile o che veicolano un messaggio indirizzato a creare consapevolezza su gender gap, uguaglianza e inclusione.

Molto spesso, però, queste stesse realtà mancano di politiche di genere concrete, o addirittura esse stesse sono state in passato protagoniste di vicende controverse proprio sugli stessi temi che cavalcano nelle loro attività di comunicazione, spesso ricadendo in quello che viene chiamato pinkwashing.

Facciamo un passo indietro e partiamo innanzitutto dalla definizione di pinkwashing. 

Il pinkwashing indica tutte le iniziative portate avanti da brand, aziende, organizzazioni, non ultime, direzioni artistiche che, con il pretesto di favorire cause sociali relative a un supposto mondo femminile (rainbow washing nel caso della comunità queer o, ad esempio, disability washing nel caso di persone con disabilità), di fatto mirano esclusivamente ad ottenere un ritorno economico e d’immagine. Il pinkwashing è, dunque, una tecnica per le aziende à che fanno credere di sostenere emancipazione e battaglie femministe per vendere di più i propri prodotti o servizi, come se fosse un vero e proprio strumento di marketing, senza policy aziendali concrete o alcun reale legame con l’attivismo e con i movimenti transfemministi. La strategia si dimostra un fenomeno trasversale a tutti i settori: dai brand di cosmesi, all’industria alimentare, dai gioielli all’ abbigliamento, sfruttando a proprio vantaggio ciò che i movimenti riescono ad ottenere con il loro attivismo. 

Ci rendiamo sempre più spesso conto che in realtà dietro questo grande interesse nei confronti del femminismo, ci siano degli interessi puramente economici e politici, di facciata insomma, piuttosto che iniziative destinate ad agire concretamente sull’empowerment femminile, parità di genere, diversità  e così via. 

Che tipo di credibilità e sistema valoriale possono dunque essere rilevati in tali iniziative? L’interesse verso il movimento femminista, verso la parità di genere, è reale o dobbiamo arrenderci a pensare che sia solo un mezzo per ottenere risultati in termini economici, politici, un “trending topic” da cui non si può essere esclusi?  

Come si sta comportando l’industria musicale a riguardo? 

Come ci suggeriscono alcune ricerche condotte da Equaly, e i post di sensibilizzazione e denuncia di pagine Instagram come LineUpsWithoutMales.it e La Cantautrice, la situazione è molto delicata. Nonostante ci siano stati dei miglioramenti negli ultimi anni, assistiamo ancora a line up di club, festival, rassegne musicali, qualsiasi evento che veicoli musica, che contano una predominanza maschile, con poco spazio per le artiste, ancor meno per artistə non-binary e trans*, mentre è quasi inesistente invece la rappresentanza BiPOC. 

In alcuni casi, questi stessi festival o rassegne dall’evidente sproporzione di presenze di generi diversi, inseriscono nelle loro programmazioni talk e panel proprio sul gender gap nella musica, oppure su argomenti attinenti alle difficoltà che  donne e persone di generi sottorappresentati incontrano sul lavoro,come ad esempio la genitorialità), accessibilità e sostenibilità. 

A maggio 2024 il Ministero della Cultura ha organizzato un incontro istituzionale dal titolo “Canzoni contro le donne: che fare?” i cui panelist non solo erano tutti uomini, ma erano presenti tra gli speaker personaggi controversi. Un altro evento, che ha mostrato interesse ai temi del gender gap e dell’inclusione sociale – citandoli nelle prime righe del proprio comunicato stampa e facendo riferimento ai punti dell’ASVIS (Agenda 2030 per lo sviluppo sostenibile dell’ONU) – ha poi organizzato live di chiusura proponendo una line up composta al 100% da uomini bianchi. Oppure succede che alcune realtà firmatarie del pledge di Keychange – la rete globale sostenuta dall’Unione Europea che lavora per raggiungere la piena parità di genere nell’industria musicale – e attivissimi portabandiera della causa, finiscano  per essere loro stessi protagonisti di vicende controverse.

Per un futuro (realmente) ampio che favorisca le diversità 

È arrivato il momento per l’industria musicale di passare dalle parole all’azione. Non è infatti più sufficiente mettere una bandierina, proclamarsi vicino alle  comunità marginalizzate o promotori e promotrici di equità se poi nei fatti la situazione del panorama musicale continua ad essere immutato (se non peggiorato) dal punto di vista della rappresentanza di genere. Sarebbe il momento di vedere meno slogan e più realtà che concretamente portino sia lə artistə sui palchi che più rappresentanza dietro le quinte, dai lavori tecnici ai ruoli decisionali. A chiunque voglia approcciarsi a queste tematiche, ricordiamo che esistono realtà che si occupano di diversità, accessibilità, parità di genere e con cui possono informarsi e costruire un dialogo. L’industria musicale ha bisogno di comprendere realmente il significato delle parole “parità di genere”, “diversità”, “accessibilità” per capire quali concetti queste espressioni racchiudano, e cosa fare di conseguenza nel pratico. 

Ben consapevoli di quanto la questione economica sia un dato da tenere a mente, vogliamo sottolineare ancora una volta la narrazione sbagliata che chiamare artistə possa inficiare la buona riuscita di un festival. La credenza comune che le donne non portino pubblico (e quindi soldi) è un retaggio patriarcale che va smantellato un pezzo alla volta, cominciando dall’aprire gli occhi (e le orecchie) sul fatto che, al giorno d’oggi, non possono più reggere scuse per giustificare l’assenza di artistə dai palchi (le più comuni “non ne conosciamo nessuna” o “nessuna era disponibile”) perché c’è una nutrita schiera di di artistə, musicistə, producer e performer. Sulla pagina instagram lacantautrice o fluidae_collective, ad esempio, si può trovare un archivio di artistə emergenti provenienti da tutta Italia in costante, aggiornamento. 

Cosa possiamo fare insieme?

Per fare in modo che le cose cambino è necessaria una presa di responsabilità da parte di tutti i soggetti che, insieme, compongono il panorama musicale italiano. 

La realtà può cambiare anche attraverso l’inserimento di nuove abitudini: proporre sempre più artistə, ingaggiare sempre più sound engineer, stage manager donne e persone che si identificano in generi sottorappresentati, creerà una nuova normalità e smantellerà nel tempo la percezione patriarcale che la musica sia un “lavoro da uomini”.

Chiediamo agli artisti, ai manager, ai discografici, dove possibile di usare il loro privilegio maschile per sottolineare l’assenza delle colleghe dai palchi e da tutti i ruoli apicali di questa industria. Di mettere in risalto che non ci sono coincidenze o casi, di prendere atto che c’è un’esclusione sistemica e che di conseguenza è da dentro quel sistema che va combattuta.

Chiediamo ai giornalisti e alle giornaliste di porre l’accento sulla questione ogni volta che ne abbiano la possibilità, in modo da portarla all’attenzione del pubblico e far sì che chiunque possa iniziare a riflettere su questo tema. Soprattutto è necessario che la critica parli di artistə mettendo in risalto l’elemento madre (la musica), e non, come spesso accade, l’abbigliamento, lo stato di famiglia, il corpo, l’atteggiamento.

Chiediamo alle associazioni di categoria, ai promoter, ai festival, alle rassegne, live club, agenzie, l’impegno continuativo a costruire degli eventi accessibili ed equi

Chiediamo a tutte le realtà femministe, allə attivistə e a chi ha a cuore la questione, di essere alleate ed unite nel chiedere a gran voce che nessunə venga lasciatə indietro negli eventi musicali e nell’arte in generale. Rivendichiamo il nostro spazio, rivendichiamo l’universalità del linguaggio musicale, rivendichiamo l’universalità di rappresentanza.

Abbiamo il privilegio di far parte della costruzione della coscienza culturale umana, è questo che fa l’arte, è questo che fa la musica. La musica, l’arte in generale, ha il privilegio di essere parte della costruzione della coscienza culturale umana: decostruiamo insieme un sistema di prevaricazione e piramidale, fatto da pochi e per pochi che alimenta disuguaglianza e cancella tantissima musica e talento.

La musica è infinita e il palco non è una torta. C’è posto per tutte, tuttə e tutti

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articolo scritto da Equaly, Fluidae e La Cantautrice

realtà firmatarie

Equaly

Fluidae

La Cantautrice

Pixie

LineupWithoutMales.it

Rocket Girls!

Indie Pride

Poche CLTV

Disability on stage

Cantafinoadieci

AAA

La Postura del Consenso / CAP10100

Lunatika Factory

Diva’S Jazz

Dinamica Cantautrici in Movimento

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