All’indomani della kermesse nostrana, veniamo subito riportati alla realtà del nostro adorabile provincialismo dall’esibizione di Rihanna durante l’halftime show del SuperBowl, nello State Farm Stadium di Glendale, Arizona, U.S.A., ué.
Ma che è l’halftime?
Niente, praticamente gli americani, dagli anni Sessanta circa, durante l’intervallo della finale del campionato di football, anziché andare a fare pipì, fanno tutta una festa nella festa, con inno nazionale cantato da gente famosa, le marching band delle scuole superiori e dei college. Agli inizi così, tra il sobrio e…vabbè, l’americano. A partire dagli anni ’90 poi, l’interludio musicale durante l’halftime (il nostro fine primo tempo per intenderci) del Super Bowl (cioè la finale) della National Football League (NFL), grazie all’avvento di importanti sponsor e di importanti producer, inizia conseguentemente a diventare un evento in sé, per l’appunto, importante. Infatti, l’esibizione allo stadio si trasforma definitivamente nel consacramento di artisti e artiste che ne sono headliner e che lo considerano uno dei momenti più alti della loro carriera, che li storicizza di fatto. Un esempio su tutti, il tributo a Dr. Dre, con lo stesso Dr. Dre, dell’anno scorso. Abbiamo già detto: storia.
Anche se c’è da dire che succede pure l’esatto opposto, come accaduto nel 2004, quando sul finale del loro duetto, Justin Timberlake scopre un seno di Janet Jackson segnando, sì una pietra miliare, ma del declino della carriera, stranamente, di Janet, non di Justin. Ma questa è un’altra storia…anche se forse non proprio, ora vediamo.
È stato anche palcoscenico di forti messaggi politici, come quello di JLo e Shakira che due anni fa hanno protestato contro il governo Trump, proponendo una scenografia che includeva bambine e bambini in gabbia, come stava facendo realmente l’amministrazione al confine con il Messico. Un altro esempio è stato il rifiuto, proprio di Rihanna, a esibirsi nel 2019, in protesta con la NFL che nel 2017, sotto pressione della presidenza Trump, aveva cacciato il giocatore e attivista Colin Kaepernick perché continuava a inginocchiarsi durante l’inno nazionale, a sua volta in protesta per la brutalità della polizia statunitense.
Ma torniamo nel 2023. Dunque.
Una produzione della madonna (metafora non casuale), con pannelli trasparenti che volano, scendono, salgono fino ai fuochi di artificio, con sopra e sotto un esercito di ballerini di bianco vestiti (sorry Mr. Rain, a lei l’effetto corale è riuscito meglio) che ballano all’unisono circondando lei, l’inarrivabile in tuta rossa, che viene subito inquadrata in primo piano svelando il suo sguardo tra il birichino, l’omicida e lo strafottente. Siamo già in adorazione. Girl power. God is a woman.
Parte la musica, canta, balla, la telecamera segue la mano di Rihanna che scende sul ventre e, colpo di scena, RiRi ha un’altra pagnotta nel forno…dopo aver partorito a maggio. Maggio 2022.
First reaction, sì ho capito lo shock, ma soprattutto uno “spem” di manrovescio per noi normodotate che avremmo subito approfittato della tavola “surfa nei cieli” per schiacciare un pisolino, letteralmente tra le braccia di Morfeo, lontane dalla nostra prole messa al mondo poco prima.
Che dire, come se non fosse già un evento mondiale e di incredibile rilievo, mettiamo altra carne al fuoco.
Rihanna è subito acclamata ovunque come la queen, la self made woman, che manco la neomaternità o la gravidanza in corso possono fermare. Addirittura a un certo punto, un ballerino le passa una cipria e lei si ritocca al volo il trucco, ma non è UNA cipria, è la SUA cipria. Certo, perché non è che in 7 anni via dal palco si sia annoiata, ha anche creato una linea di cosmetici e siccome l’halftime è suo e di nessun altro, decide lei, si pubblicizza tutto quello che vuole, alla grandissima. Una donna padrona al comando. Viemme a di’ qualcosa. This girl is on fire e via discorrendo.
Abbiamo detto che la gravidanza è stata una sorpresa, non era annunciata, nemmeno nelle interviste a ridosso dell’evento.
Viene da chiedersi perché. Davvero aveva pensato che sarebbe stato l’annuncio migliore che potesse fare? …o è stata cauta?
Se non se la fosse più sentita di esibirsi? Se la ginecologa le avesse detto il giorno prima “Riha’, no.”, come sarebbe andata? Sicuramente RiRi è realmente strafottente dell’opinione altrui esattamente come sembra, ma per un attimo facciamo finta che non sia così. Anzi, fingiamoci la madre, la manager, la responsabile di comunicazione, chiunque del suo entourage che abbia tutto l’interesse a proteggere lei, la sua immagine e la sua reputazione (e la sua commerciabilità, ché il mondo va così, diciamocelo). Se avesse annunciato la nuova gravidanza e avesse poi cambiato idea rispetto all’halftime, cosa avrebbero scritto di lei? Queen? Badass? Brava? Non so. Gli Stati Uniti sono famosi per aver prodotto grandi storie di eroi ed eroine che servono da esempio, che devono guidare una certa mentalità del “we are the champions”, di riuscire, se in solitudine anche meglio, una forza ostentata, senza mai mostrare eventuali lati oscuri e taciuti (penso all’incubo vissuto dalle ginnaste americane e poi dalle ginnaste italiane…perché nemmeno quella è un’altra storia). Parliamo inoltre di una donna nera, dea, regina, survivor che tutto può e tutto sopporta, senza lamentarsi, che non si piega mai, soprattutto davanti agli oppressori, perché più è forte e più è d’esempio. Più è guerriera, insomma, come lo stereotipo a cui stiamo pensando.
L’avrebbero accettato un ripensamento del genere, in un paese in cui la maternità non gode di alcuna considerazione e che se non lavori per un’azienda che integri i tuoi diritti, devi prenderti le ferie per andare a partorire e vincere alla lotteria per accedere a strutture quali nidi, asili ecc.?
Già vi sento “ma quella è miliardariaaaa”. Ma va? Il fatto è che le opportunità non passano solo dalle tasche. Le condizioni per potersi godere i propri tempi per diventare genitore e gestirsi secondo il proprio libero arbitrio non sono solo economiche ma anche e soprattutto culturali e sociali.
Mentre applaudiamo quella gran figa di Rihanna, teniamo a mente che, sebbene in cuor nostro la vogliamo pensare libera e spensierata, c’è una possibilità che queste pressioni lei le abbia sentite eccome, ma che semplicemente non le abbia esternate e poi è andato tutto bene. God save the queen.
E a questo punto voglio tornare in Italia. Perché pure qua ci sono cantautrici che figliano pur non avendo tutele. E che invece esternano.
L’anno scorso, a pochi giorni dal parto una neomamma Levante, in un momento di presa bene o di delirio di onnipotenza, (che comunque non potete giudicare, mi spiace, ci sta tutto che dopo mesi a fabbricare la vita con soli due ingredienti e averla traghettata nel mondo attraverso il proprio utero o attraverso un taglio del proprio utero, ci sia un momento di “ma chi so’ aho!??!?” e va’ così), ha fatto un post su IG confidando la sua rinnovata energia e la sua forza, che in quel momento genuinamente sentiva e percepiva enormi.
È partito uno shitstorm feroce, le sue dichiarazioni sono rimbalzate ovunque, le hanno recriminato un atteggiamento passivo aggressivo nei confronti di tutte coloro che dopo il parto hanno invece avuto difficoltà, fisiche e psicologiche e che, a leggere quelle parole, si sentivano comprensibilmente offese e arrabbiate.
Salto in avanti a Sanremo 2023, Levante porta un pezzo che ha scritto ispirandosi al suo vissuto, in particolare parla di depressione post partum e di come abbia sofferto nel non riuscire a sentire più il suo corpo come suo. Durante la gara sembra leggera, felice, il suo pezzo non è affatto cupo, è anzi molto sincero e nel ritornello dice “La gioia del mio corpo è un atto magico”.
Ammetto che quando uscì il primo post di cui sopra, anche io pensai “ma che dice ché io per tre mesi ho cucinato con una mano sola e mi sono addormentata per terra?”…ma poi, ripensandoci, il guaio è che a raccontarsi in quanto personaggio pubblico, ci si espone molto e le critiche e i giudizi fioccano rapidi. Raccontare un’evoluzione in questo senso diventa difficile se non impossibile, perché ogni momento si cristallizza lì, come verità assoluta. Anche qui, mi domando: come sarebbe finita se non avesse sofferto di depressione post partum o se avesse deciso di non condividere pubblicamente le sue difficoltà? L’avremmo perdonata?
Ancora una volta, non dobbiamo dimenticarci di una certa pressione. Le artiste non solo non sono lavoratrici dipendenti ma, in questa nostra meravigliosa società della performance, dove le case discografiche ti spingono a produrre anche un disco all’anno, se abbandonano le scene troppo a lungo, svaniscono nel nulla. Soprattutto se la maternità sopraggiunge prima di una fama di un certo livello. E quindi QUEEN pure Levante…ché pure la scalinata di Sanremo non scherza.
La maternità non è uguale per tutte. La maternità non è mai uguale nemmeno a sé stessa. È un percorso, difficile, perché non siamo noi a guidarlo eppure dobbiamo spesso prevedere dove sta andando.
Le madri, le donne non sono sovrapponibili, non sono interscambiabili, l’una non vale l’altra.
Per cui, se Rihanna si sente bene a cantare incinta sospesa nell’aria con il viso illuminato dai fuochi d’artificio, va bene. Se Levante si sente a giorni alterni una dea e una fallita, (dal suo pezzo “Vivo il male, vivo il bene”) va bene uguale.
Non è che dobbiamo essere per forza vichinghe, come quella donna che ho incrociato una volta all’Ikea, mentre mi disperavo con il mio unico figlio di manco un anno e che mi è passata davanti, alta, bionda e muscolosa, mentre guidava i suoi 4 figli attraverso la zona camerette, tenendone una di due anni in braccio, stesa mentre l’allattava e mi guardava con grazia.
Va bene anche se sbrocchiamo e bestemmiamo tra gli scaffali dei giochi di legno e le ceste di peluche.
D’accordo, lo so, sono partita di un umore e finita di un altro.
Del resto non è che è colpa degli ormoni solo quando conviene a voi…perché, poi alla fine, gli ormoni sono i miei e me li gestisco io.