“Quando siamo apparsi sul palco per il nostro ultimo concerto, gli unici protagonisti sembravano i maschi. Da fuori sembravano più o meno uguali a com’erano stati negli ultimi trent’anni. Dentro era tutt’altra storia.”
Inizia così il memoir di Kim Gordon, resoconto lucido e amareggiato di quasi trent’anni di matrimonio e vita on the road accanto alla stessa persona. Per tutto il tempo in cui ha militato nei Sonic Youth, Gordon ha dovuto puntare i piedi per legittimare il suo ruolo. Non solo la ragazza carina che suona il basso al centro del palco, ma un membro a tutti gli effetti di una band che ha cambiato la storia della musica indipendente e non solo. Per tutto il tempo in cui ha militato nei Sonic Youth, Gordon si è sentita parte di una squadra, di una famiglia; curiosità e ingerenze figlie di un pregiudizio che arrivava dall’esterno. Quando è uscita dalla bolla, si è accorta che niente è scoppiato, il club aveva perso solo uno dei suoi soci e nemmeno così necessario a giudicare dalle pacche sulle spalle scambiate tra quei maschi da sempre poco avvezzi a manifestazioni pubbliche di affetto o sintonia.
La storia dei Sonic Youth tra la fine degli anni Ottanta e l’inizio dei Novanta si avviluppa a quella dei Nirvana, entrambe le formazioni sono solite puntare un faro l’una nella direzione dell’altra quando ne hanno occasione. Kim Gordon è una delle artiste chiamate da Dave Grohl e Krist Novoselic alla cerimonia introduttiva della band di Seattle alla Rock and Roll of Fame e Kurt Cobain ha sempre ribadito il suo tenace rifiuto al machismo imperante del rock attraverso i media e indossando abiti femminili sul palco.
Deve essere per questo che il Taylor Hawkins Tribute Concert mi ha fatto pensare a quanto, ancora oggi, il rock’n’roll in particolare sia un club prevalentemente maschile. Le donne ci sono, ci sono state anche in passato, ma ancora una volta il pensiero è andato a quanto sia difficile per loro. A Wembley è andato in scena uno spettacolo artisticamente impeccabile, musicisti straordinari e umanità da vendere. Da qualche tempo non si vedevano così tanti artisti riuniti su uno stesso palco, tutti concordi nel celebrare la bellezza, il talento e la bontà di Hawkins. Per circa sei ore sul palco la storia del rock è protagonista, con un chiaro rimando al live di trent’anni prima, quando il requiem toccò a Freddie Mercury e infatti sul palco ci sono Brian May e Roger Taylor che implicitamente ricordano anche chi partecipò allora – David Bowie e George Michael – e non avrebbe potuto farlo oggi. La storia del rock si racconta attraverso i Queen, Paul McCartney, James Gang, AC/DC, Metallica, Rush, Police, le formazioni preferite di Hawkins che, prima di entrare nei Foo Fighters, accompagnò in tour Alanis Morissette. (Quest’ultima in presenza al tributo di Los Angeles alla fine del mese.)
Non sono stupita dal fatto che gli idoli di Hawkins fossero prevalentemente maschi, so quanto sia stato difficile per una ragazza intercettare quel tipo di cameratismo, ma non posso fare a meno di dedicare una riflessione alle donne presenti sul palco: la sedicenne Violet, figlia di Grohl, la dodicenne prodigio della batteria Nandi Bushell, Chrissie Hynde e Kesha. Con la speranza che le nuove generazioni riescano eccome a integrarsi nell’industria musicale armate del proprio carisma e talento, penso a Chrissie e alla sua biografia in cui palesa quanto, soprattutto all’inizio, la sua unica possibilità fosse quella di comportarsi come un ragazzo (Hynde da giovane è stata vittima di un episodio di violenza e se ne è assunta la colpa) e penso a Kesha, la cui carriera è stata segnata dall’accusa di abusi rivolte al suo produttore.
Il sentimento che legava i musicisti l’altra sera a Wembley era vivo, commovente. Una complicità che soprattutto in una fase più matura della vita è forse naturale ricercare tra chi è più simile a noi. Intesa che spesso gli uomini, musicisti e non, trovano con altri uomini e donne con altre donne. Se è davvero così, non vedo l’ora di poter vivere e raccontare una storia della musica – scritta, suonata, arrangiata, in studio e dal vivo – in cui a stimolare la discussione sia soltanto la qualità o l’intensità della performance.
autrice: Laura Gramuglia