di Chiara Longo

Nel 1952 Nilla Pizzi vinceva primo, secondo e terzo posto a Sanremo con “Vola Colomba”, “Papaveri e Papere” e “Una Donna Prega”. 1956, le prime tre posizioni sono occupate da Franca Raimondi, Tonina Torrielli e Luciana Gonzales. 1975, Gilda, Angela Luce, Rosanna Fratello. 1983, Tiziana Rivale, Donatella Milani, Dori Ghezzi. 1997-98-99, triplo podio di donne. Arriviamo al 2012, in cui il podio è occupato da Emma Marrone (Non è l’Inferno), Arisa (La Notte) e Noemi (Sono Solo Parole). Nel 2014, vince Arisa, e da allora, in tendenza con le classifiche del Paese, non si è più vista una cantante vincere il Festival della canzone italiana.

Quest’anno, le donne rappresentano il 36% dei 25 progetti musicali in gara. Una sola coppia è formata da due donne (Ditonellapiaga con Donatella Rettore), una coppia è uomo/donna (Hu e Highsnob), e una delle (due) band in gara ha una frontwoman (La rappresentante di lista). Per il resto, sono artiste soliste. A quanto comunicato ad oggi, una sola direttrice dirigerà l’orchestra, Francesca Michielin per Emma Marrone. Tra i 79 autori accreditati nelle 25 canzoni in gara, solo 7 sono donne, nemmeno il 9%. Se dalle autrici togliamo quelle che sono anche interpreti sul palco della propria canzone (ovvero le cantautrici), resta solitaria Federica Abbate. E non è neanche l’anno peggiore per quest’aspetto della kermesse. Il tutto sotto il segno di Amadeus, che negli ultimi tre anni non ha brillato per idee risolutive in questo senso, attorniato da belle presentatrici e da Fiorello che sghignazza sull’opportunità di non dare il mazzo di fiori di fine esibizione solo alle donne.  

Come spesso Paolo Madeddu ci ricorda nelle sue interessanti analisi, al pubblico italiano non piace la musica fatta dalle donne, né italiane né straniere. È un fatto: basta dare uno sguardo superficiale all’archivio delle classifiche annuali dei dischi più venduti in Italia e bisogna risalire al 2006 per trovare Laura Pausini in copertina. 

D’altronde non c’è Sanremo in cui, per un motivo o per l’altro, non si debbano far notare delle ovvietà: dalle percentuali di artiste donne scelte in gara, alle co-conduttrici (per gentile concessione si è abbandonato l’orrido termine “vallette”) che devono “stare un passo indietro”, ai cantanti che affermano che le donne abbiano voci meno armoniose di quelle maschili, fino all’unica direttrice d’orchestra invitata a parlare sul palco, che chiede però di essere chiamata “direttore”, per evitare di essere confusa con la preside di un istituto scolastico. Ah, non dimentichiamo i 10 minuti obbligatori di monologo sulla condizione femminile, affidati di solito a una giornalista che fa subito autorevolezza.  

Di questi numeri si parla tantissimo, e sul web troverete molti articoli in merito. Quello di cui si parla un po’ meno perché, banalmente, non accade sul palco ma dietro al palco, è quanto questa sottorappresentazione femminile nelle file di Sanremo sia un problema endemico molto più profondo, che colpisce le posizioni apicali a partire da quella di direttore del primo canale RAI (volete ridere? Andate su Wikipedia al menù della pagina di Rai 1, e tra le varie voci troverete “Annunciatrici” e “Direttori”, una nomenclatura che già lascia presagire dove andremo a parare). Infatti, in 68 anni di vita, RAI 1 ha avuto una direttrice solo nel biennio 2018-2020, ma per ritornare a Sanremo, sapete quante direttrici artistiche ha avuto Sanremo in 72 anni? La risposta, va da sé, è zero.

In 72 edizioni, Sanremo è stato condotto da donne solo in sei edizioni: 1961, Lilli Lembo; 1978, Maria Giovanna Elmi; 1986, Loretta Goggi; 2001, Raffaella Carrà; 2004, Simona Ventura; 2010, Antonella Clerici. Ho escluso da questo calcolo le co-conduttrici al fianco di un uomo (per es. Luciana Littizzetto con Fabio Fazio o Maria De Filippi con Carlo Conti).

Dal 1994, Pippo Baudo ha introdotto l’abitudine di accentrare nel ruolo di presentatore anche quello di direttore artistico, e così è stato per tutti i presentatori da allora in poi (con l’unica eccezione di Gianni Morandi, che ha scelto di avvalersi di un direttore artistico esterno). 

Questo non è accaduto quando a condurre è stata una donna. Prendendo le sole tre presentatrici dal 1994 in poi, ovvero Carrà, Ventura e Clerici, a nessuna delle tre è stata affidata anche la direzione artistica, ma si è scelto di farle affiancare da un direttore…uomo appunto. Perché non sia mai che Raffaella Carrà possa scegliere da sola le canzoni in gara più di un Panariello o un Carlo Conti. 

Per completezza, segnaliamo un’unica eccezione nel 1997, quando appare il nome di Carla Vistarini, ma accanto a due uomini, Pino Donaggio e Giorgio Moroder.

Ed è sempre eccezionale anche la presenza di un’unica donna, Marta Tripodi, la sola persona under 50 per altro, nella giuria di esperti di Area Sanremo.

Se la lente è spesso puntata sulle presentatrici o le cantanti in gara, presenti per gentile concessione di un uomo, i numeri delle altre macro categorie che fanno di fatto il festival (autrici, direttrici, orchestra) rivelano un problema molto più radicato e meno di facciata, che di fatto, rivela come le dinamiche abbiano poco a che fare con competenza o talento, ma molto con potere e sottorappresentanza.

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