Antefatto: martedì 23 novembre va in scena il panel della Milano Music Week 2022 “Musica e gender equality: Spotify svela a che punto siamo” che presenta i dati di una ricerca fatta in collaborazione con GfK.

Spotify svela che siamo ad un punto morto, ovvero che negli ultimi 3 anni, dal 2018 alla prima parte del 2021, i dati sulla presenza delle artiste nelle classifiche italiane sono fissi al 14,1%.

𝘙𝘪𝘱𝘦𝘵𝘪𝘢𝘮𝘰 𝘪𝘯𝘴𝘪𝘦𝘮𝘦: “𝘲𝘶𝘢𝘵𝘵𝘰𝘳𝘥𝘪𝘤𝘪𝘷𝘪𝘳𝘨𝘰𝘭𝘢𝘶𝘯𝘰”

In chiusura di panel Enzo Mazza (CEO di FIMI – Federazione dell’industria musicale italiana) annuncia che proporrà ad Amadeus (conduttore e direttore artistico del prossimo Festival di Sanremo) che Il cast dei/delle Big sia composto al 50% da donne.

L’ha detto e l’ha fatto.

(Fonte: Fanpage.it, «La proposta di FIMI ad Amadeus: Il cast dei Big di Sanremo 2022 sia composto al 50% da donne», 24 novembre 2021)

Prontamente Amadeus replica dicendo che “Con grande rispetto non sono d’accordo: non ho mai scelto una canzone in base al sesso dell’artista, sarebbe un grave errore, scelgo la canzone in base alla bellezza” […] “Non vedo perché devo dare una quota alle donne, sarebbe quasi offensivo nei loro confronti. La musica è arte, e nell’arte non puoi creare zone prestabilite”. E ancora “Ti devi lasciar guidare dalle emozioni, dalla vera onestà. Ci sono donne fantastiche in tutti i festival che hanno dato filo da torcere agli uomini (n.d.r. addirittura?) è questa la cosa più importante”.

Chiude le polemiche con un triplo carpiato di lavamanismo: “La proposta potrebbe partire dalla stessa industria discografica: sono tutti uomini ai vertici, c’è solo Caterina Caselli alla Sugar, eppure ci sono donne bravissime. Le stesse associazioni musicali hanno tre uomini alla guida: se si tratta di un segnale importante, è giusto che parta dalla grande discografia o dalle associazioni musicali».

(Fonte: ​​La Stampa, «Amadeus: dopo di me una donna a Sanremo. No alle quote rosa per i brani, sono offensive», 26 novembre 2021)

Della serie – e parafrasiamo – che se non ci sono donne sul palco di Sanremo è perché scrivono o cantano pezzi brutti, che lui è guidato dalla bellezza e non ci può fare niente e che la vera colpa è delle case discografiche.

E anche oggi il suo contributo al gender gap lo darà domani.

Fortuna che ci sono i numeri a far luce sulla realtà di questi 70 anni di Festival, e i numeri non parlano di “bellezza” o di opinioni, ci dicono che dal 1951 al 2020, in 70 edizioni:

・ nella sezione BIG ci sono state 745 artiste su 2665 partecipanti (= 27,9%)

・ nella sezione Nuove Proposte ci sono state 226 artiste su 784 partecipanti (= 28,8%)

Anche i dati di conduzione e direzione artistica non sono migliori, e qui la bellezza dei brani non dovrebbe contare:

・ 6 conduttrici su 39 (= 15,38%, meno delle artiste in classifica)

・ 1 direttrice artistica su 76 (= 1,3%)

(Fonte: Datajournalism.it «Sanremo, non è un festival per donne?», 17 dicembre 2020)

Seguendo il ragionamento di Amadeus, questo vorrebbe dire una cosa sola: le donne sono meno brave e cantano canzoni meno belle. Punto.

Aggiungiamo che non sono meno brave “solo” a scrivere e cantare canzoni, ma a fare qualsiasi altra cosa, perché le donne non ricoprono mai più degli uomini ruoli di potere, in nessun campo.

A questa riflessione viene in aiuto con un suo video l’autrice Elisa Giannini, in arte “Teresa Cinque”, che invoca a gran voce la riduzione delle onnipresenti #quotecelesti.

Cosa sono le quote celesti?

Beh, se partiamo da un presupposto figlio di un pensiero degli anni ‘20 (del 21° secolo però…), è inverosimile pensare che gli uomini siano la maggioranza in tutti i campi e ricoprano tutti i ruoli importanti per merito, no?

Risulta evidente che le quote celesti fanno sì che un uomo ricopra un certo incarico perché è uomo e non per la competenza. Pacifico.

Teresa Cinque aggiunge “sennò vorrebbe dire che tutti gli incarichi apicali, decisionali, più importanti, sono ricoperti da maschi perché le donne non sarebbero in grado” […] “Statisticamente, per esempio, nelle università le femmine hanno voti più alti, le laureate sono più dei laureati” […] “quindi se sono lì (gli uomini) sono lì perché sono uomini, non perché sono più bravi”.

Com’è che non ne parla nessuno di queste quote?

Questo discorso pieghe non ne fa, e sorge spontanea una riflessione. Forse dovremmo smettere di parlare di aumentare le “quote rosa” (o meglio, quote di genere), dovremmo cominciare a parlare di ridurre le quote celesti per cui, tra l’altro, gli uomini al comando stranamente non si sono mai sentiti offesi.

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